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Il quinto quarto: la tradizione italiana delle frattaglie

Una volta erano gli scarti, le parti meno nobili che finivano sulla tavola di chi non poteva permettersi di meglio, ora sono considerate una prelibatezza da scoprire e riscoprire: stiamo parlando delle frattaglie, conosciute anche come quinto quarto.

Questi tagli della carne, a lungo trascurati, sono tornati di gran moda. Tanti chef hanno inserito le frattaglie nei loro menu e in alcuni casi sono nati anche ristoranti che hanno fatto del quinto quarto il loro nome o comunque il concetto centrale della loro cucina. Il quinto quarto è riuscito così a mettere d’accordo sia la cucina tradizionale delle osterie che l’alta ristorazione: le prime usano le frattaglie per riproporre piatti antichi, alla base della cultura culinaria italiana, mentre i ristoranti ne valorizzano il gusto anche attraverso accostamenti nuovi e insoliti.

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Leggi anche: Cos’è il quinto quarto? Ne parliamo con Il Gastronauta

Perché si chiama quinto quarto

Le frattaglie vengono chiamate quinto quarto perché costituiscono tutto ciò che non rientra nei quattro tagli principali (anteriori e posteriori) dell’animale. In un certo senso è anche il quarto nascosto perché è costituito in gran parte dagli organi interni.

Se vuoi saperne di più sugli altri tagli della carne, ti rimandiamo alla nostra guida nella sezione Scuola di Cucina.

Ma il quinto quarto cos’è di preciso?

Quando parliamo di frattaglie ci riferiamo a una grande quantità di parti dell’animale che possono essere cucinate. Tagli che spesso cambiano anche nome a seconda della città in cui ci troviamo o della ricetta che li vede protagonisti. Quindi alla domanda cos’è il quintoquarto possiamo rispondere con un elenco delle parti che lo costituiscono:

Sicuramente parliamo di sapori forti e, in alcuni casi, di consistenze dimenticate dal nostro palato. Ma ora vedremo come in realtà le frattaglie siano alla base di molti dei piatti tipici italiani più celebri.

quintoquarto cos'è

Street food: viva le frattaglie

Per quanto riguarda il cibo di strada, non possiamo non citare il Lampredotto di Firenze – panino a base di uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomaso – o l’altrettanto celebre Pani câ meusa di Palerno, panino morbido al sesamo, imbottito con pezzetti di milza e polmone di vitello.

‘O pere e ‘o musso è invece una specialità della Campania, che tradotto significa il piede e il muso: la ricetta prevede infatti l’uso del piede di maiale e del muso di vitello. Nei banchetti ambulanti della Sicilia sono d’obbligo invece le stigghiole, involtini di interiora di agnello (o di vitello) con prezzemolo, cucinati sulla brace.

In Calabria, soprattutto nel catanzarese, si mangia invece il Morzeddhu, specialità che può essere servita sia come piatto che come street food: in questo caso si prende la pitta (pane casereccio calabrese) e la si farcisce con un soffritto di frattaglie di vitello (milza, esofago, polmone, fegato, trippa ecc.) cotte nel pomodoro, alloro, origano e peperoncino piccante.

Street food Palermo quinto quarto

A tavola: come cucinare le frattaglie di vitello

La regina delle frattaglie è senza dubbio la trippa, piatto tipico italiano che si realizza con le diverse parti dello stomaco del bovino. Parliamo di una ricetta così radicata nella nostra cultura gastronomica che ne esistono molte versioni. Dalla trippa alla milanese – che il vero milanese imbruttito chiama Busecca – a quella alla romana, dalla genovese alla fiorentina, dalla veneta alla piemontese e chi più ne ha più ne metta. C’è chi la prepara al sugo e chi in umido, chi la vuole più brodosa e chi più tirata: insomma, sarà pure un piatto dalle origini povere, ma a noi italiani la trippa piace molto!

La cucina tipica del Piemonte ci offre invece il fritto misto e la finanziera. Si tratta di due ricette tradizionali che sfruttano al meglio tutto quanto si ricava dal quinto quarto. Il fritto misto piemontese si prepara con le animelle, i rognoni, i filoni, il cervello, il fegato e i testicoli del vitello, oltre ad avanzi di macellazione di maiale e agnello. La finanziera invece è cucinata con le frattaglie del vitello (animelle e schienale) più manzo, creste, barbigli, fegatini e ovette di pollo.

Il nostro viaggio tra le bontà del quinto quarto non può non fare tappa a Venezia. Qui infatti a farla da padrone è il celebre fegato alla veneziana, ricetta tipica dell’intera regione, in cui il sapore deciso del fegato si accompagna a quello delle cipolle. In origine, al tempo dei Romani, al posto della cipolla venivano utilizzati i fichi.

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L’intestino di vitello è alla base invece di un altro grande classico: la pajata, termine romanesco che indica proprio quella parte dell’animale. Elemento tipico della cucina romana, la pajata si mangia con i rigatoni oppure, come secondo, in umido, al forno o alla brace. Sempre restando a Roma, un altro grande classico realizzato con il quinto quarto è la coda alla vaccinara: come suggerisce il nome, in questo caso delle frattaglie si prende ovviamente la coda del bovino.

Tutte specialità con cui siamo cresciuti più o meno tutti, spesso grazie alle sapienti mani dei nonni che le preparavano davanti ai nostri occhi.

Dove mangiare quinto quarto

Se invece vuoi provare le frattaglie al ristorante, abbiamo qualche suggerimento per te. Qui puoi leggere i nostri consigli su dove mangiare quinto quarto a Milano e su dove farlo a Roma. Mentre qui ti parliamo di dove andare a mangiare il fritto misto alla piemontese e l’arte del quinto quarto nella cucina delle Dolomiti.

E il tuo piatto della tradizione qual è? Manca tra quelli citati nel post? Faccelo sapere nei commenti…

Leggi anche la nostra Scuola di Cucina:

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21 commenti su “Il quinto quarto: la tradizione italiana delle frattaglie”

  1. Articolo esauriente, ma mancano i crostini, tanto di milza (senesi) quanto di fegatini (specificamente fiorentini) tipici della cucina toscana e, con qualche variante, umbra. Inoltre anche la ”coppa di testa” potrebbe a buona ragione far parte delle vivande preparate con il ”quinto quarto”.

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  2. Se parliamo di crostini mancano i migliori, quelli della tuscia / bassa maremma laziale, a base di cicoria, milza di bue,fegato e lardo di maiale oppure salsicce miste.
    Poi il diaframma sta nel quinto quarto solo per la grande ignoranza e incapacità di cucinare del consumatore italiano, infatti i lombetti di pannicolo (diaframma per le osterie romane) sono uno dei tagli di carne più pregiati del manzo, per le grigliate messicane (arrachera) o texane(hanger steak).

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  3. “A quarumi” (vedi trippa) piatto composto da tutte le parti dello stomaco di bovino. Lo si può trovare per le vie di catania come”cibo da strada” assieme ad altri furgoncini che a sua volta vendono il “sangele e matruzza” ovvero sanguinacci.

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  4. All’elenco manca un tipico piatto sassarese che si chiama “ziminu”, si mangia con gli amici. Composto da parasangue, milza, fegato, cuore, intestino, dallo stomaco al buco del sedere, tutto ben lavato, in particolare l’intestino. Tutto ben grigliato e tagliato a tocchetti e quindi salato. Messo nelle insalatiera ed accompagnato da verdure di stagione crude, la tradizione vuole che venga mangiato con le mani mentre in piedi si chiacchiera con gli amici e tracannando del buon vino

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