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Le regole dell’ossobuco alla milanese: storia di un piatto tipico

“Questo è un piatto che bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda. Intendo quindi descriverlo senza pretensione alcuna, nel timore di essere canzonato. E’ l’ossobuco un pezzo d’osso muscoloso e bucato dell’estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi, quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra ad un battuto crudo di e tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro; conditelo con sale e pepe. Quando avrà preso sapore aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina per dargli colore e per legare il sugo e tiratelo a cottura con acqua e sugo di pomodoro o conserva. Il sugo passatelo, digrassatelo e rimesso sul fuoco, dategli odore con la buccia di limone tagliata a pezzettini, unendovi un pizzico di prezzemolo tritato prima di levarlo dal fuoco.”

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È così che Pellegrino Artusi introduce la ricetta dell’ossobuco alla milanese nel suo libro “La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene” del 1891. Come giustamente evidenzia il gastronomo romagnolo, l’ossobuco è una ricetta cult della cucina milanese: quella che più riflette i capisaldi gastronomici meneghini, come la passione per le lunghe cotture e per la carne di vitello che viene preferita al manzo in quanto più tenera. La morbidezza della carne dipende molto dal peso dell’animale che non deve superare i trecento chilogrammi e dall’alimentazione che deve essere fatta esclusivamente da latte. Il significato del nome sarebbe osso cavo e l’ingrediente principale di questo piatto è lo stinco di vitello. Per realizzarlo si preferisce usare il geretto (o muscolo) di vitello posteriore perché in questa parte l’osso è più ricco di midollo e c’è il giusto rapporto tra carne e connettivo.

Le regole dell’ossobuco alla milanese

Per realizzare l’ossobuco alla milanese le fette devono avere uno spessore di quattro centimetri e devono comprendere una sezione d’osso, fondamentale per la ricetta perché il midollo interno durante la cottura si scioglie e conferisce al piatto la gelatinosità e la glassatura che lo caratterizzano. Le ricetta è semplice, ma piena di insidie e va eseguita solo in umido. La carne, leggermente infarinata, viene rosolata lentamente in un tegame dai bordi alti e fatta cuocere a fuoco basso per ore con l’aggiunta graduale di liquidi (brodo e vino bianco secco) in modo tale da ottenere un sugo ristretto, ma ancora fluido e che non venga disperso il sapore. A fine cottura (quando la carne tende a staccarsi dagli ossi centrali) viene distribuita la gremolada, il condimento preparato con un trito di prezzemolo, aglio e limone che viene mescolato con il sugo.

La ricetta originale prevede la cottura in “bianco”, senza pomodoro che nel tempo è stato aggiunto come variante. L’oss buss, oltre che essere servito da solo, può essere accompagnato da polenta, purè di patate, spinaci al burro. Tuttavia è nel risotto alla milanese che trova la sua massima espressione.

L’ossobuco è un piatto evidentemente lombardo

ossobuco alla milanese

Milano ne reclama la paternità, tanto che nel 2007 il Consiglio Comunale riconosce l’oss (o òs) buss, ossobuco in vernacolo milanese, parte delle De.Co., Denominazioni Comunali, riconoscimento pubblico dell’appartenenza di un prodotto a un territorio. È difficile risalire alla nascita del piatto: l’uso delle ossa con midollo era diffuso anche nel Medio Evo, ma in quel periodo non ci sono testimonianze dell’ossobuco. Secondo alcuni storici la ricetta inizia a circolare nel periodo illuminista (la variante con il pomodoro invece è più tarda). Altri, invece, credono che il piatto abbia origini più recenti perché non compare in molti ricettari lombardi antichi. Sicuramente nel 1891 era abbastanza diffuso, tanto da spingere Pellegrino Artusi a riconoscere la sua identità lombarda e a inserirlo nel libro come ricetta milanese.

di Davide Paolini, il Gastronauta

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