Andiamo alla scoperta della trippa, ingrediente tipico della cucina nostrana. Vediamo quali parti usare, quali ricette fare e come cucinare la trippa al meglio.
Piatto povero della tradizione italiana, la trippa rientra nella grande famiglia delle frattaglie, conosciute anche come quinto quarto. La sua origine è antica perché veniva preparata già ai tempi dei greci e dei romani, seppur in maniera molto differente. E siamo sicuri che per quanto tu possa essere giovane, i nonni o la mamma almeno una volta te l’hanno preparata.
Specialità consumata soprattutto nei mesi più freddi, la trippa, come tutte le frattaglie, negli ultimi anni è stata oggetto di grande rivalutazione: non più semplice piatto povero, ma vera e propria prelibatezza gastronomica apprezzata anche dai più giovani. Ecco alcune dritte per scoprire di preciso cos’è la trippa, di quali parti è composta, come si cucina e qualche ricetta per chi vuole prepararla a casa.
Cos’è la trippa
Erroneamente molti pensano che la trippa sia ricavata dall’intestino, in realtà deriva dalle diverse parti dello stomaco del bovino, che è costituito da quattro cavità diverse con aspetto e consistenza differenti tra loro. Stiamo parlando dei tre prestomaci – rumine, omaso e reticolo – e dello stomaco vero e proprio: l’abomaso. In alcuni casi, oltre allo stomaco dei ruminanti si utilizza anche quello del maiale.
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Quando vai dal macellaio, tieni conto del fatto che la trippa non ha parti di scarto e quindi è tutta utilizzabile. Considerando che durante la cottura tende a ridursi, il consiglio è di comprare almeno 200 grammi a persona. Dai anche un occhio attento al colore della trippa: deve essere grigia, o comunque scura. Diffida dalla trippa troppo bianca: è vero sembra più bella e invitante, ma per essere così chiara ha subito lavaggi che ne hanno alterato le qualità.
Come è fatta la trippa
La trippa è costituita dalle diverse parti dello stomaco del bovino. Ognuna ha delle caratteristiche e proprietà ben precise e varia dunque in gusto e consistenza. Vediamo quindi quali sono le parti che la costituiscono per sapere meglio come cucinare la trippa.
Rumine
Dei tre prestomaci della trippa è sicuramente la parte più grassa e spessa. Da sola rappresenta circa l’80% di tutto lo stomaco.
Si chiama anche Croce detto anche Ciapa, Larga, Panzone.
Reticolo
È la parte più piccola e il suo aspetto è inconfondibile: si presenta spugnoso e la sua forma ricorda una cuffia.
Si chiama anche Cuffia o Beretta, Nido d’ape.
Omaso
È la parte più magra della trippa. Il suo aspetto è caratterizzato dalla struttura lamellare ricca di pieghe bianche.
Si chiama anche Foiolo o Centupezzi, Libretto, Millefogli, Centopelli.
Abomaso
È lo stomaco vero e proprio. Si tratta della parte più vicina all’intestino e il suo colore è più scuro. L’abomaso è piuttosto grasso. Si chiama anche Lampredotto (da cui il panino tipico fiorentino) o Caglio, Francese, Frezza, Quaglietto, Ricciolotta.
Curiosità – Lo sapevi che… è dall’abomaso (di vitelli, agnelli, capretti) che si produce il caglio per la lavorazione del formaggio.
Come cucinare la trippa: ricette
Come anticipato prima, nella cucina tipica italiana la trippa è molto diffusa, al punto che quasi in ogni regione ne esiste una ricetta tradizionale. Anzi, spesso il modo di preparare la trippa cambia da città a città: da Milano alla Toscana, da Roma alla Sicilia, ognuno ha la sua ricetta della trippa. Una volta tagliata a strisce viene cotta in maniere differenti, senza dimenticare che c’è chi la ama più brodosa e chi invece la preferisce più asciutta. La trippa contiene una parte importante di tessuto connettivo che con l’ebollizione si trasforma in gelatina ed è anche di facile digeribilità se ben cotta e non troppo ricca di condimenti.
A livello nutrizionale, bisogna sottolineare che, a differenza di quello che si potrebbe pensare, la trippa non è un alimento grasso, ma è molto nutriente dal punto di vista proteico.
Trippa alla milanese
È una delle versioni più celebri. Chiamata anche busecca, la trippa milanese si prepara con trippa di vitello, brodo, fagioli, carote e sedano. Un piatto diventato così tradizionale da dare anche il soprannome ai milanesi: busecconi, che in sostanza vuol dire mangia-trippa. Le frattaglie si fanno rosolare in un soffritto di burro, lardo, cipolla, sedano e carote, poi si aggiunge dell’acqua e un pezzo di coda, oltre a pomodoro e fagioli borlotti. La cottura (2 ore e mezza) deve essere a fuoco lento.
A seconda della parte usata esistono due versioni altrettanto tipiche della trippa alla milanese. Qui trovi la ricetta della Busecca, mentre qui trovi la ricetta del Foiolo. Non hai che l’imbarazzo della scelta.
Trippa toscana
La trippa, tagliata a striscioline, si unisce a un soffritto di cipolle. In aggiunta si possono mettere anche prezzemolo, carote, sedano e uno spicchio di aglio. La ricetta prevede poi sale e peperoncino (o pepe) e i pomodori pelati. La cottura deve essere fatta con un fuoco molto basso e continuare fino a quando l’acqua di trippa e pomodoro non si ritira. Va servita calda con a completare un filo d’olio d’oliva.
Trippa romana
Preparata con il reticolo di vitello, viene fatta prima ammorbidire in un brodo vegetale. La cottura della trippa si completa poi con un sugo di pomodoro, pecorino e giusto un pizzico di peperoncino. A fine cottura in molti aggiungo anche un poco di menta oltre a condire nuovamente con un po’ di pecorino.
Se vuoi provarla, qui trovi la ricetta della trippa alla romana.
E poi c’è la trippa alla genovese in umido con fagiolame, la trippa alla parmigiana in cui al sugo viene aggiunto del parmigiano grattugiato, la trippa alla piacentina di cui abbiamo la ricetta della nostra amica Enrica, la zuppa marescialla, che è tipica della tradizione napoletana, e viene servita con il suo bel brodo denso. Insomma, chi più ne ha più ne metta.
Queste sono solo alcune indicazioni di base, nei commenti siamo curiosi di leggere qual è la tua versione della trippa: quella che prepari a casa o a cui sei più legata.
Se invece vuoi metterti alla prova in cucina con alcune delle creative ricette della trippa che abbiamo su Blog Sfizioso, puoi provare:
- Il foiolo di vitello di Matteo Vigotti
- La trippa di vitello piemontese con acciughe del Mar Cantabrico dello chef Gian Piero Vivalda
- E due versioni colorate ed estrose del nostro amico Nicola Batavia: la terrina di trippe miste e la trippa a cilindro.
Perché si dice “non c’è trippa per gatti”
Legato alla trippa c’è anche un celebre modo di dire che fa parte della cultura italiana: non c’è trippa per gatti. Detto anche in romanesco “Nun c’è trippa pe’ gatti“, proprio perché questa espressione è nata a Roma agli inizi del Novecento. Si racconta che il neoeletto sindaco di Roma, Ernesto Nathan, analizzando il bilancio del Comune, si stupì per la voce “frattaglie per gatti”. Quando gli spiegarono che si trattava di una cifra impiegata per l’alimentazione di una colonia di gatti che doveva difendere dai topi i documenti negli archivi del Campidoglio, il sindaco non ci pensò su due volte ed eliminò la voce in questione. Secondo Ernesto Nathan i gatti dovevano mangiare proprio i topi e quindi aggiunse: “Non c’è trippa per gatti”.
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